L’intelligenza della Natura – l’operone del lattosio
Quando si tira in ballo la parola intelligenza
questa può essere declinata in svariate modalità, al punto che non si dovrebbe usare
il singolare ma il plurale; sarebbe infatti più corretto parlare di intelligenze
che, a vario titolo, caratterizzano il mondo vivente (oserei dire anche quello
non vivente, ma non me ne voglio occupare in questa sede).
L’etimologia stessa della parola, derivante dal verbo legĕre (leggere, comprendere, cogliere) cui si antepone la preposizione inter (fra), ci ricorda come la capacità di stabilire correlazioni e distinzioni tra elementi si possa svolgere in mille modi diversi e a molteplici livelli.
Se non impressiona più di tanto una dimostrazione
di intelligenza da parte di esseri viventi evoluti dotati di un cervello
particolarmente sviluppato è invece interessante e a tratti sorprendente il
fatto che, pur con modalità completamente diverse, anche negli organismi più
semplici si evince chiaramente “la capacità di leggere tra le righe”
(altra possibile definizione di intelligenza) e il regolarsi di conseguenza.
Un fulgido esempio di quanto appena detto lo
troviamo in un sistema genico denominato lac operone, o operone del lattosio,
presente nel batterio Escherichia coli, organismo ubiquitario che
troviamo anche come costituente abituale della nostra flora intestinale.
Nella prima metà del secolo scorso J.
L. Monod,
studiando questo microrganismo, osservò un fenomeno che va sotto il nome di crescita
diauxica: ponendo E. coli in un terreno di coltura contenente sia glucosio
che lattosio, il batterio utilizzava prima il glucosio e poi, una volta
esaurito questo zucchero, dopo una fase di latenza, iniziava a metabolizzare il
lattosio. L’ipotesi formulata da Monod fu che esistesse una dipendenza tra
enzimi e substrato con la possibilità di attivare e disattivare i geni come
risposta a stimoli provenienti dall’ambiente circostante.
Come si vede dalla figura, la crescita è in un
primo momento dovuta all’uso di glucosio e poi, all’esaurimento di questo, dopo
una fase stazionaria, inizia una seconda fase nella quale viene utilizzato il
lattosio; ciò che è interessante notare è che i livelli di β-galattosidasi, l’enzima
che serve a metabolizzare il lattosio, iniziano a salire all’inizio della fase
di latenza: questo vuol dire che il batterio risponde alla mancanza del
glucosio iniziando a produrre l’enzima di cui ha bisogno per continuare a crescere
utilizzando l’altro substrato.
Il sistema che consente a E. coli di operare
questo cambio di direzione è costituito da alcuni geni come mostrato in figura
Quando il lattosio non è presente sarebbe
antieconomico tenere in funzione l’operone; il gene regolatore (sequenza “I”) produce
allora, attraverso l’apposita molecola di m-RNA, una proteina detta repressore
che si lega all’operatore (sequenza “O”) impedendo l’azione della
RNA-polimerasi che, pur legandosi al promotore (sequenza “P”), non può
trascrive i geni responsabili della costruzione dei tre enzimi necessari perché
bloccata nel suo cammino.
Quando il lattosio è presente e deve essere
metabolizzato, questo si lega al repressore inattivandolo e impedendogli di
legarsi all’operatore lasciando via libera alla RNA-polimerasi.
Ma la meraviglia non finisce qui. Dal momento
che in presenza di entrambi gli zuccheri è conveniente iniziare a metabolizzare
il glucosio, E. coli è dotato di un’altra proteina regolatrice detta CRP;
questa legandosi nella zona del promotore aumenta l’efficacia dell’operone
essendo a sua volta attivata da un’altra molecola che è l’AMP-ciclico, che ha
una bassa concentrazione in presenza di glucosio: questo significa che, quando
c’è abbastanza glucosio, l’attività dell’operone è ostacolata dalla mancanza di
AMP-ciclico che non attiva la CRP che a sua volta non favorisce l’attività
della RNA-polimerasi che deve trascrivere i geni delle β-galattosidasi.
Questi sublimi meccanismi di regolazione
presenti in un organismo comunque semplice pur nella sua complessità di essere
vivente, personalmente mi lasciano esterrefatto; sono una prova di come la
Natura ha fatto le cose per bene invitandoci a rispettarla riponendo fiducia
nelle sue leggi e facendoci capire come sia deleterio agire in maniera ostativa.
Oggi, in un mondo in cui predomina il concetto
di politically correct, l’espressione contro natura, dal momento
che in passato (e forse in certi momenti anche adesso) è stata oggetto di un
uso scorretto, fa un po' paura perché evoca scenari inquietantemente
discriminatori; in realtà, se riflettiamo in maniera obiettiva, scevri da
qualsiasi pregiudizio auto costruito o indotto, ci rendiamo conto semplicemente
che il nostro mondo è regolato da leggi universali alle quali ogni ente, in
quanto tale, è invitato ad osservare e rispettare per il proprio stesso “bene”.
Si potrebbero scrivere fiumi di parole, ma preferisco
chiudere con una semplice e al tempo stesso drammatica considerazione che, pur
nella sua banalità (io non considero il termine banale in senso negativo, in
fondo tante cose sono banali solo perché evidentemente corrette), deve essere
fatta: la differenza tra l’intelligenza di un batterio e quella di un essere
umano è che la prima, prodotto incontaminato delle leggi di natura, è sempre
costruttiva e tende alla conservazione della specie, mentre spesso l’uomo la utilizza
contro sé stesso, al punto che viene da chiedersi se, in questo caso, è lecito
parlare ancora di intelligenza.
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