Prove tecniche di future pandemie – la resistenza agli antibiotici


Il pericolo per la salute umana rappresentato dall’antibiotico-resistenza è molto più preoccupante del crac finanziario del 2008. A pronunciare queste inquietanti parole non è, come si potrebbe pensare, un infettivologo a caccia di notorietà a suon di frasi ad effetto che cavalca la scia di una pandemia che ha trasformato alcuni medici in star televisive; si tratta invece dell’affermazione di un economista, Jim O’Neill, che tra il 2014 e il 2016, quindi in tempi precedenti il Covid, ha condotto per conto dell’allora Primo Ministro britannico David Cameron, uno studio sull’argomento denominato Review on Antimicrobial resistance. Secondo questo lavoro entro il 2050, a livello globale, circa 10 milioni di persone moriranno a causa di infezioni batteriche causate da ceppi resistenti agli antibiotici.

 


Per restare entro i nostri confini, l’Italia è il paese europeo che registra il più alto numero di morti dovuti a questa motivazione: ogni anno, infatti, dei 33mila decessi in Europa, 10mila si verificano nel nostro paese, soprattutto a causa di infezioni nosocomiali. Questo dato è in accordo con l’elevato consumo che facciamo degli antibiotici: ne consumiamo 25,5 dosi/die ogni 1000 abitanti.

Volendo fare un calcolo approssimativo che però rende bene l’idea di quanto detto, ogni giorno in Italia, si assumono circa un milione e 530mila dosi di antibiotico.

 


Ma perché una tipologia di farmaco che ha segnato una svolta nella storia della medicina da quando fu scoperta quasi per caso da Alexander Fleming, salvando milioni di vite umane, se usata impropriamente può causare tanti e tali danni? Il problema non risiede nel farmaco in quanto tale ma nell’uso improprio che ne viene fatto allorquando viene adoperato anche in circostanze in cui non sarebbe affatto necessario o somministrato ad animali di allevamento destinati poi all’alimentazione umana.

Un ruolo importante è giocato anche dall’aumento dei viaggi internazionali e dei flussi migratori che spostano ceppi resistenti da un continente all’altro nel giro di poche ore.

 

Quando una popolazione batterica non è trattata con antibiotici mostra una variabilità per cui i microbi che verrebbero uccisi dai farmaci (sensibili) coesistono con quelli che invece sopravviverebbero (resistenti) limitandone lo sviluppo; se una tale popolazione diventa causa di malattia, questa viene facilmente debellata dall’antibiotico appropriato che uccide i sensibili lasciando quei pochi resistenti che però da soli non sono in grado di mantenere in atto l’infezione. Se la popolazione invece viene preventivamente e inappropriatamente trattata con l’antibiotico, questo seleziona gli individui resistenti che, non più limitati da quelli sensibili, proliferano diventando gli unici componenti di detta popolazione; qualora questa riuscisse a provocare un’infezione, la patologia non potrebbe più essere curata con quell’antibiotico perché totalmente inefficace.   

Il problema si aggrava ulteriormente quando, a seguito sempre di procedure terapeutiche inadeguate, si genera una pressione selettiva che favorisce l’insorgere e la diffusione di ceppi batterici che presentano contemporaneamente una resistenza a più antibiotici (multidrug-resistance) che limita ancor più la possibilità di trattamenti efficaci quando c’è una reale necessità. Purtroppo questo fenomeno è reso ancor più grave dal fatto che spesso questa resistenza multipla riguarda infezioni che si generano e diffondono all’interno di ospedali interessando quindi soggetti il cui stato di salute è già più o meno compromesso da una precedente patologia e quindi evidentemente più esposti e a maggior rischio. 

Come se non bastasse, le proprietà responsabili della antibiotico-resistenza di regola non sono contenute nel cromosoma batterico che costituisce il principale depositario dell'informazione genetica della cellula batterica ma in un pezzo più piccolo di DNA detto plasmide che può essere facilmente copiato e trasferito da un batterio ad un altro; tale processo detto coniugazione batterica consente ad una popolazione di acquisire informazioni e proprietà che la rendono più resistente.  



La consapevolezza dei danni provocati dall’antibiotico-resistenza non è certo una cosa recente; in Italia da oltre venti anni l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) si occupa di coordinare su scala nazionale la sorveglianza del fenomeno soprattutto per quel che riguarda alcuni ceppi batterici responsabili di infezioni di una certa rilevanza: tra questi alcuni nomi poco rassicuranti quali Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus, e Pseudomonas aeruginosa, che ad ogni microbiologo clinico fanno venire in mente pensieri poco piacevoli.

 

Ma se l’Italia si è allertata il resto del mondo non è certo rimasto a guardare; nel 2015 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha varato il progetto GLASS (Global Antimicrobial Resistance Surveillance System) per supportare il Global Action Plan (2015) concepito per rafforzare le conoscenze sul fenomeno a livello mondiale; non a caso, entro il 2018, 71 paesi hanno aderito al GLASS.

 

Anche l’Unione Europea, nel 2017, ha messo a punto un piano d’azione basato su un approccio “One Health” che affronta in maniera integrata il problema della salute umana, animale e ambientale.

Non bisogna infatti sottovalutare, come già accennato in precedenza, la somministrazione di antibiotici agli animali da allevamento e da compagnia nella valutazione e monitoraggio dell’antibiotico-resistenza e l’impatto ambientale che deriva da questo fenomeno.

 


Se qualcuno pensa che l’allarme causato dalle infezioni batteriche sia meno grave di quello provocato dalle epidemie che hanno come protagonisti i virus non tiene conto di un fattore: non solo le malattie ad eziologia batterica non conoscono limiti geografici, ma per esse non esiste alcuna barriera di specie, laddove nel caso dei virus il suo superamento (salto di specie) è un evento piuttosto occasionale. Ciò vuol dire che un batterio che sviluppa una resistenza agli antibiotici all’interno di un organismo animale può senza subire alcuna modificazione infettare anche un essere umano; tutto ciò, come è evidente, è sufficiente per affermare che siamo di fronte ad una minaccia globale da non sottovalutare, anche in relazione al fatto che non solo gli allevatori tendono alla salute dei loro capi di bestiame ma anche i possessori di animali da compagnia la cui sensibilità alla salute dei loro piccoli amici, già da diversi anni, è aumentata esponenzialmente per cui si tende sempre più a ricorrere alle cure veterinarie che, inevitabilmente, prevedono anche il trattamento antibiotico.

 

     

Interessato da fenomeni di antibiotico-resistenza, a parte i batteri già menzionati, è un altro microrganismo alquanto dimenticato negli ultimi anni ma il cui nome fa sempre paura perché evoca una terribile malattia che nei tempi passati ha mietuto moltissime vittime; si tratta del Bacillo di Koch che provoca la Tubercolosi.

 

 

Mycobacterium tubercolosis (questo il nome scientifico) ancora oggi, a causa di ceppi multi-resistenti (Mdr) ed estremamente resistenti (Xdr), è un avversario molto insidioso. Stando ai dati riportati dall'ente di sorveglianza europeo ECDC relativi al 2016, in Italia sono stati diagnosticati 40321 casi di tubercolosi: la percentuale dovuta a bacilli Mdr è stata del 2.6%, e di questi, nel 10% di casi, si trattava addirittura di ceppi Xdr.

 

Se un giorno gli antibiotici che per anni hanno costituito una vera ancora di salvezza per la vita umana non dovessero essere più efficaci la situazione a livello globale acquisterebbe i caratteri di una vera catastrofe. Il ritorno all’era pre-antibiotica comporterebbe l’impossibilità di praticare in sicurezza una serie lunghissima di terapie mediche, dalle cure odontoiatriche ai trapianti d’organo, dalle chemioterapie agli interventi chirurgici.

 

Contro questo scenario apocalittico però non c’è solo la consapevolezza dell’importanza di un uso ponderato degli antibiotici che deve essere fatto esclusivamente sotto controllo medico o veterinario e giammai con cure mediche “fai da te” o “per sentito dire”.

Questa pandemia che stiamo vivendo ci ha ricordato che esistono pratiche igieniche di facile utilizzo ma di grandissima efficacia non solo per sconfiggere il Covid ma contro le infezioni in generale; lavare accuratamente le mani e le parti esposte, pur nella sua semplicità, è sicuramente un ottima precauzione per prevenire le infezioni.

 

Un ruolo determinante lo possono svolgere le vaccinazioni in quanto azioni profilattiche volte ad impedire l’insorgere delle infezioni e il conseguente ricorso ai farmaci.

Purtroppo la recente pandemia da Covid-19 ha portato tragicamente alla ribalta una sfiducia palesata da molte persone che, a causa di paure preconcette autocostruite o peggio ancora indotte da perverse manipolazioni, rifiutano di ricorrere alle vaccinazioni; in certi casi si è assistito alla folle nascita di una filosofia no-vax dai contorni veramente grotteschi e inquietanti che più di una volta ha portato a conseguenze nefaste.

 


Se chi getta solo semi di discordia animando teorie complottistiche prive di qualunque fondamento imparasse a usare la propria testa senza affidarne la gestione a chi gliela riempie solamente di idiozie, si renderebbe sicuramente conto dell’importanza della profilassi, anche perché non è necessario essere dei geni per capire certe cose.       

 

Ancora una volta e più che mai possiamo affermare gridandolo a gran voce e senza tema di smentita che “prevenire è meglio che curare”. 

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