Quasi tutto è relativo - l’esistenza di verità assolute


 

Il relativismo è una ideologia filosofica che si pone in contrapposizione rispetto all'esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione.
Nel Mondo Occidentale questa tendenza si manifesta nell’ambito della sofistica greca soprattutto per opera di due pensatori: Protagora di Abdera e Gorgia da Leontini (l’odierna Lentini in provincia di Siracusa). 


Questi, pur non dando vita ad un movimento unitario, misero al centro della loro attenzione l’uomo e i temi legati alla morale e alla vita sociale e politica.
Protagora arriva a dire che Di tutte le cose è misura l’uomo; di quelle che esistono, in quanto esistono; di quelle che non esistono, in quanto non esistono”, conferendo alla sua capacità di giudizio un potere smisurato che, vista l’esistenza di infinite visioni differenti, si trova alla base del relativismo.
Dal momento che non si tratta di un’unica scuola di pensiero spesso i vari sofisti giungono a conclusioni a volte anche contrastanti, ma il denominatore comune della loro corrente è il potere sconfinato della retorica: con la parola è possibile dire letteralmente tutto e il contrario di tutto, contrapponendosi aspramente quindi al principio di non contraddizione.
 
Forti critiche a questo movimento ci furono già tra i contemporanei nelle persone soprattutto di Platone e Aristotele (giusto per fare due nomi a caso) che definivano i sofisti “prostituti della cultura” perché chiedevano compensi per le loro lezioni. Anche nei secoli successivi le critiche non mancarono: Agostino di Ippona (Sant'Agostino) si contrappone senza mezzi termini alla visione sofistica.

Egli imposta il discorso sul piano logico affermando la tesi secondo cui chi sostiene l'impossibilità di ogni certezza è destinato a contraddirsi, perché non volendo dà sempre per scontata una certezza, ossia la certezza che non vi sono certezze.
D’altra parte per il Cristianesimo una visione relativistica è inaccettabile dal momento che nega la Verità assoluta che si identifica col Dio Creatore.

Col passare dei secoli, in un certo senso, anche il mondo scientifico dimostra di non essere immune da una sorta di visione anti-assolutistica; la spinta verso una sorta di relativismo calato nel campo della scienza viene data dallo sviluppo e studio delle geometrie non euclidee, soprattutto per opera di quattro matematici che sono Nikolaj Lobačevskij, János Bolyai, Carl Friedrich Gauss e Bernhard Riemann.


Tali impianti negano il quinto postulato di Euclide, noto anche come “postulato delle parallele” secondo cui per un punto esterno ad una retta passa una e una sola retta parallela alla retta data.


Tale postulato ha una seconda maniera di essere enunciato: “Se una retta che interseca due altre rette forma dalla stessa parte angoli interni inferiori a due angoli retti, le due rette, se estese indefinitamente, si incontrano da quella parte dove gli angoli sono inferiori a due angoli retti”
 
 
L’attacco ad uno dei fondamenti della geometria euclidea, sebbene sia quello meno evidente per cui è stato nel corso dei secoli oggetto di studio per trovarne una dimostrazione che però non è mai arrivata, è come una sorta di lesa maestà che mina le basi del sapere in una branca della matematica, quella stessa scienza che viene ritenuta esatta per antonomasia.

Ma la “sciagura matematica” intesa come la caduta di un mito fatto di verità assolute, non si ferma alla geometria; nella prima metà del secolo scorso un giovane matematico di Brno, Kurt Godel, dimostra l’incompletezza dell’aritmetica, la possibilità cioè di costruire una proposizione sintatticamente corretta contenente argomenti aritmetici che non può essere né dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema di regole (assiomi).
 
 
Ciò significa che in una qualsiasi teoria matematica che contenga l’aritmetica esiste una formula la cui veridicità è indecidibile.
 
Ma anche nella disciplina per caratteristiche più vicina alla matematica, cioè la fisica, più o meno nello stesso periodo si fanno scoperte che sembrano indirizzare verso una deriva relativistica.
Einstein, prima con la Teoria della Relatività generale e poi con quella della Relatività ristretta, abbatte i concetti assoluti di spazio e tempo come entità totalmente indipendenti e immutabili sotto l’influenza di fattori esterni.
 
 
Con il paradosso dei gemelli egli afferma che lo scorrere del tempo cambia a seconda della velocità con cui si coprono le distanze: più ci si avvicina a quella della luce, postulata come la massima raggiungibile nell’universo e costante, più il tempo scorre lentamente.
 
 
Incredibilmente la frazione indicante il rapporto esistente tra spazio e tempo che per definizione identifica la velocità, nel momento in cui il numeratore tende ai valori massimi mentre il denominatore si avvicina allo zero, provoca una modificazione nel trascorrere del tempo stesso nel senso di un rallentamento.
 
Ma in quella prima metà del ventesimo secolo altre scoperte nel campo della fisica sembrano portare all’abbattimento di concetti assoluti. Una di queste è il principio di indeterminazione formulato nel 1927 dal tedesco Werner Heisenberg.
 

In termini semplici questo principio afferma l’impossibilità di misurare contemporaneamente e con precisione assoluta la velocità e la posizione di una particella elementare (per esempio un elettrone), cioè quelle proprietà che ne definiscono lo stato. Alla base di tale principio c’è che la consapevolezza che un procedimento messo in atto per operare l’osservazione di una particella elementare ne modifica il suo stesso stato: in pratica nel momento in cui io voglio studiare il suo comportamento già questa mia azione ne provoca una modificazione che mi rende impossibile ricavare informazioni sul suo stato originario.    
 
Ciò detto, la mia opinione è che non sia poi così importante chiedersi se altri passi avanti nel campo della scienza porteranno o meno ad altre scoperte tese a rafforzare una visione relativistica.
Quello su cui bisognerebbe interrogarsi è la possibilità che tali nuove teorie, unite alle conoscenze di cui già siamo in possesso, possano far si che questo relativismo scientifico ne giustifichi anche un altro di tipo etico.
 

La considerazione che alcune realtà un tempo ritenute assolute ora non lo sono più può autorizzare a credere che non ve ne sia alcuna? Naturalmente nessun ragionamento razionale può fornire una risposta sensata a questo quesito e ciò, in pieno accordo con il pensiero di Sant’Agostino, porta alla formulazione di un’ipotesi a sostegno dell’idea che il ritenere inesistente qualsiasi verità oggettiva è contraddittoria.
 
Ciò che allora sembrerebbe essere una conquista che libera l’uomo rendendolo pienamente protagonista del proprio operato e attore delle proprie scelte rischia di diventare l’ennesima trappola che invece lo schiaccia sotto il peso della responsabilità di una condanna auto-inflitta dai limiti della sua stessa ragione.
 

Anche se nessuno può affermare l’esistenza di una verità assoluta da argomentare con un ragionamento inconfutabile è però evidente che l’uomo ha bisogno di credere nella sua esistenza per allontanare la minaccia insita in una visione totalmente relativistica che inevitabilmente porterebbe le diverse opinioni allo scontro aperto con le conseguenze che tutti, soprattutto in questi giorni, guardandoci in giro, possiamo toccare con mano; importante invece è la consapevolezza che questa "voglia di assoluto" sia il prodotto di un disegno concepito in favore dell'uomo, orientato cioè non ad opprimerlo bensì a liberarlo da un fardello che le sue spalle limitate e mortali non possono reggere.

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