Dove c’è il niente nasce tutto

 

Viviamo in un’epoca ossessionata dalla presenza: presenza online, presenza fisica, presenza nei dati. Eppure, in tre delle più grandi discipline del pensiero umano - matematica, fisica e filosofia - ciò che è veramente rivoluzionario non è l’essere, ma l'esatto contrario.

Nel vasto universo del pensiero umano che celebra questa presenza (materia, quantità, risultati, accumulo), alcune idee emergono come pilastri fondamentali, pur rappresentando, paradossalmente, l'assenza. Lo zero in matematica, il vuoto in fisica e il nulla in filosofia sono tre di questi concetti. Ognuno, nella sua disciplina, esprime una forma di mancanza, ma in questo articolo scopriremo come l'assenza possa essere non solo significativa, ma addirittura creativa e fondante. In queste poche righe esploreremo il "triangolo dell’assenza", collegando lo zero matematico, il vuoto fisico e il nulla filosofico. Perché, come spesso accade, ciò che sembra insignificante è in realtà essenziale.

Iniziamo dalla Regina di tutte le scienze, la Matematica. Immaginate un mondo senza lo zero. Contare sarebbe un esercizio confuso, le operazioni matematiche limitate e la rappresentazione di quantità negative impensabile. Per millenni, civiltà diverse hanno operato senza un simbolo per l'assenza di quantitàNon esisteva nel mondo greco-romano: per Pitagora e i suoi seguaci, l’universo era numero, ma lo zero, che rappresenta il nulla, non poteva avere posto nella perfezione matematica del cosmo.

Furono gli antichi indiani, intorno al V secolo d.C., a formalizzare il concetto di "śūnya" (che significa "vuoto" o "nulla"), da cui derivò il nostro zero. Sempre matematici indiani, come Brahmagupta nel VII secolo, introdussero lo zero come numero a sé stante e non solo come indicatore di posizione. Da lì, passando attraverso la matematica araba (il termine "zero" deriva dall’arabo ṣifr), arrivò in Europa. 

Lo zero non è semplicemente un segnaposto; è un operatore cruciale. Permette la notazione posizionale, rendendo possibile esprimere numeri infinitamente grandi e piccoli con un numero limitato di cifre. È il punto di origine su una linea numerica, il discriminante nelle equazioni e la base per concetti avanzati come i limiti e gli infinitesimi. In un certo senso, lo zero è l'assenza che rende possibile l'abbondanza numerica. Se non esistesse, il sistema numerico sarebbe monco, e gran parte della matematica moderna semplicemente non esisterebbe.

In altre parole lo zero è un concetto rivoluzionario: rappresenta un’assenza quantificabile, il nulla che può essere scritto, contato, persino manipolato. È l’assenza che si fa presenza simbolica.

“Lo zero è il motore silenzioso del calcolo moderno”, scrive lo storico della scienza Charles Seife. Senza di esso non avremmo né algebra, né computer, né economia. È la mancanza che permette la rappresentazione di tutte le presenze.

Passiamo alla Fisica. Per secoli, la scienza ha faticato ad accettare l'idea del vuoto. Dalla celebre affermazione di Aristotele "Natura abhorret a vacuo" (la natura aborrisce il vuoto), che suggeriva l'impossibilità di uno spazio veramente vuoto, al dibattito tra Descartes e Pascal, l'esistenza del vuoto è stata una questione spinosa.
Oggi, il vuoto in fisica è un concetto ben definito, seppur non intuitivo. Non si tratta di uno spazio semplicemente "privo" di materia ordinaria. Nel vuoto quantistico, ad esempio, non c'è il nulla assoluto, ma un brulicare di energia e particelle virtuali che appaiono e scompaiono in un lampo. L’Effetto Casimir, le coppie di particelle virtuali che si generano e si annichilano e il Principio di indeterminazione di Heisenberg mostrano che il vuoto non è affatto “niente”. È un campo di possibilità.

Il vuoto cosmico tra le galassie è incredibilmente meno denso della nostra atmosfera, ma non è affatto il niente: è pervaso da campi gravitazionali, radiazione cosmica di fondo e, misteriosamente, da energia oscura.

Stephen Hawking ha spiegato come, vicino ai buchi neri, il vuoto possa persino dare origine alla Radiazione di Hawking, facendo evaporare la massa. Il nulla che consuma il tutto.

Il vuoto, quindi, è un'assenza dinamica. È uno stato di minima energia, ma non un'assenza totale di attività. Paradossalmente, proprio questa "assenza" di materia ordinaria è ciò che permette l'espansione dell'universo e lo studio di fenomeni a scale estreme. È l'interstizio in cui si manifestano le leggi più fondamentali della natura.

Come scrive il fisico Lawrence Krauss nel suo libro A Universe from Nothing“Il nulla della fisica moderna non è l’assenza di tutto, ma la condizione da cui tutto può emergere”.

Last but not least(*), come dicono gli anglosassoni, la Filosofia. Il nulla è forse il concetto più enigmatico e profondo dei tre. Non è semplicemente l'assenza di qualcosa, ma l'assenza di ogni cosa. È la negazione radicale dell'essere, l'opposto dell'esistenza. Grandi pensatori, da Parmenide che negava l'esistenza del nulla ("Il nulla non è e non può essere pensato"), a Sartre che lo considerava il fondamento della libertà umana, hanno lottato con la sua implicazione.

Il nulla in filosofia non è un concetto da misurare o calcolare, ma un'idea che ci costringe a confrontarci con l'esistenza stessa. Se tutto ciò che esiste fosse un giorno annullato, rimarrebbe il nulla. Ma questo nulla sarebbe "qualcosa"? Oppure non sarebbe neanche concepibile? Questa domanda ci spinge a riflettere sul significato dell'essere, sulla transitorietà delle cose e sulla nostra stessa mortalità.

Il nulla può essere una fonte di angoscia, ma anche di creatività. Se dal nulla può nascere qualcosa (come suggeriscono alcune teorie cosmologiche), o se la nostra libertà è definita dal "nulla" delle possibilità ancora non attualizzate, allora l'assenza diventa un terreno fertile per il significato e la scelta. È l'assenza che definisce il contorno del tutto. 

Heidegger, nella celebre conferenza Che cos’è metafisica?, scrive: “Il nulla è l’origine della negazione e non il contrario.” Per Heidegger, l’uomo fa esperienza del nulla nell’angoscia, quando le cose perdono significato e rimaniamo di fronte al “niente” del mondo. È proprio in questa vertigine che si apre lo spazio per l’interrogazione sull’essere.

Sartre, in L’essere e il nulla, descrive la coscienza come una “nientificazione”: noi non siamo mai completamente qualcosa, ma ci definiamo negando, scegliendo, superando. Il nulla è quindi la condizione della libertà.

Lo zero, il vuoto e il nulla ci insegnano a pensare l’assenza non come una perdita, ma come un’apertura. Senza zero, nessun sistema numerico. Senza vuoto, nessun universo. Senza nulla, nessuna libertà o coscienza.

In un mondo saturo di dati, parole e materia, forse dovremmo imparare a riconoscere il valore del niente. Perché, a ben guardare, l’assenza è l’inizio di ogni presenza.

In un’epoca in cui ogni spazio vuoto viene riempito, ogni silenzio spezzato, ogni mancanza interpretata come fallimento, questi tre concetti ci ricordano che il niente ha un valore. Come scrive il poeta Paul Valéry“Il più profondo è il vuoto.”

Lo zero, il vuoto e il nulla sono la struttura invisibile su cui poggia la realtà. Non sono buchi neri dell’intelletto, ma trampolini per la creazione, il pensiero e la comprensione. In tutti e tre i casi, l’assenza non è negazione passiva, ma condizione di possibilità. È lo sfondo necessario perché qualcosa emerga, venga contato, osservato, pensato. È come il silenzio nella musica: non è un’interruzione, ma una parte essenziale della composizione.

Forse, per capire davvero il tutto, bisogna prima imparare ad ascoltare il niente.



(*) Ultimo ma non per importanza

Commenti

  1. Lettura interessante che ci induce ad una profonda riflessione

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