In volo verso la verità - semplici riflessioni sul rapporto tra scienza e fede

 

«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso»


Queste parole tratte dall’Enciclica “Fides et Ratio” di S. Giovanni Paolo II risalente al 1998 costituiscono senz’altro un’altissima riflessione sul rapporto tra scienza e fede: al di la dell'immagine poetica delle due ali che portano l’uomo in alto verso vette apparentemente irraggiungibili, Papa Wojtyla mette in evidenza il fatto che è il Creatore stesso ad insinuare nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscenza che quindi non deve essere interpretato come il prodotto della superbia di una creatura che vuole sostituirsi a chi l’ha concepita ma, in maniera diametralmente opposta, alla stregua di un’opportunità concessa per conoscere un Dio che è Padre e, attraverso lui, se stessa in quanto fatta a Sua immagine e somiglianza.

Ciò premesso, se devo essere sincero, senza voler dare l'impressione di parlare come una persona che, avendo compiuto studi scientifici, mette il suo mondo su un piano privilegiato rispetto a quello della religione, ritengo ci sia un'altra affermazione che, pur essendo sicuramente meno suggestiva e articolata, esprime in maniera ancora più efficace, pur nella sua stringata ma concisa sintassi, il rapporto tra scienza e fede. Si tratta di una frase di Albert Einstein che recita: «La scienza è zoppa senza la religione; la religione è cieca senza la scienza».


Si tratta di un'affermazione che non esiterei a definire "dirompente" perché, pur partendo da presupposti teologici sicuramente inferiori rispetto allo scritto dal Santo Papa polacco, presenta al lettore con la sintetica crudezza tipica dello scienziato che mira dritto al bersaglio una visione lucida e al tempo stesso quanto mai illuminata della realtà scientifica.
Se poi analizziamo la prima proposizione, la visione di una scienza che zoppica in mancanza della religione non è tanto dissimile dall'immagine delle due ali che sono entrambe necessarie all'uomo per librarsi in volo. A questo proposito c'è anche la riflessione di un altro grandissimo uomo di scienza del secolo scorso, per certi versi forse ancora più importante di Einstein (anche se fare classifiche di questo genere è un esercizio che lascia il tempo che trova), Max Planck, fisico tedesco pioniere della meccanica quantistica: «Chi ha veramente collaborato a costruire una scienza sa per propria esperienza interiore che sulla soglia della scienza sta una guida apparentemente invisibile: la fede che guarda innanzi». 


Dalle parole di questi due esimi scienziati appare evidente che l'essere religiosi non è un ostacolo che limita il lavoro di chi pratica discipline in cui il rigore logico è requisito fondamentale per la realizzazione di importanti scoperte ma addirittura un valore aggiunto che può costituire una linfa vitale in grado di aprire nuovi orizzonti e guidare verso campi inesplorati e incredibilmente fertili in cui far germinare i semi di nuove idee e concezioni.

L'idea secondo cui una scienza che fatica a muoversi bene senza la religione può essere letta anche e soprattutto in chiave etica: tutto ciò che è tecnicamente realizzabile è anche moralmente accettabile? Fin dove è lecito spingersi nel campo della ricerca scientifica? Esiste concretamente il pericolo di arrivare a un punto in cui la scienza non è più al servizio dell'uomo ma il contrario? E poi: quando si parla di "moralmente accettabile" cosa si intende? Una fede religiosa può aiutare a sviluppare un ragionamento critico del tutto obiettivo in grado di provare a dare risposte coerenti e illuminanti? Tutte queste domande non possono essere ignorate, soprattutto se in gioco ci sono i fondamenti della vita e la sua tutela.


Neanche lontanamente ritengo di avere risposte definitive a questi interrogativi per cui posso solo limitarmi a fare qualche considerazione. Al primo interrogativo, se sia lecito tutto ciò che è realizzabile, è abbastanza facile rispondere di no anche tenendo presente che ci sono altre situazioni in cui è evidente che raggiungere i limiti del possibile non sempre è auspicabile. Già lo stabilire questi limiti nel caso della ricerca scientifica è molto più complicato anche perché molto spesso si dice che il problema non è la scoperta in se stessa ma l'uso che ne viene fatto. È questa una vecchia disquisizione che divide gli addetti ai lavori ed è semplicemente impossibile stabilire in maniera assoluta e definitiva da che parte sta la ragione e chi ci prova perde solo il suo tempo. Quasi tutte le conquiste della scienza, una volta concretizzate in realizzazioni tecnologiche, hanno il potere di apportare enormi benefici o causare le più grandi sciagure, per cui, anche se è banale dirlo, la giusta direzione da prendere è quella dell'analisi caso per caso. Questo però porta alla conclusione che, per esaminare singolarmente le scoperte, non si può precludere la via maestra che ha portato a realizzarle o ne fa intravedere la possibilità per cui, in questo modo, si darebbe parzialmente ragione a chi sostiene la libertà della ricerca lasciando la responsabilità a coloro che la devono poi tradurre in tecnologia.
 


Riguardo il pericolo che sia l'uomo a un certo punto a passare al servizio della scienza, ritengo che il vero pericolo risiede nel fatto che spesso l'uomo diventa schiavo di se stesso, della sua arroganza e presunzione, la scienza non c'entra nulla; la storia ci fornisce una miriade di esempi, non legati alle scoperte scientifiche o al progresso tecnologico, in cui è accaduto proprio questo. 
Spesso si dice che la morale non è assoluta e quindi non sarebbe neanche logico chiedersi cosa sia moralmente accettabile, ma della questione mi occuperò nelle righe successive.
In definitiva credo che una fede "matura", non legata alla semplice realizzazione seppur puntuale di pratiche religiose ma in grado di aprirsi ad ampie vedute in grado di superare i pregiudizi senza per altro rinnegare i suoi punti fermi, sia un ottimo strumento di discernimento.
 
Ancora più forte è il messaggio contenuto nella seconda proposizione dell'affermazione di Einstein; il definire la religione una entità cieca senza l'apporto delle conoscenze scientifiche è un modo quanto mai chiaro e diretto di pronunciarsi contro il fanatismo. Idee religiose incuranti di quelle che sono le scoperte scientifiche proietterebbero il mondo indietro di quattrocento anni fino all'epoca in cui Galileo Galilei veniva inquisito perché contrario alla teoria geocentrica.

Seppure oggi siamo abituati a considerare il fanatismo religioso un fenomeno legato al mondo islamico non dobbiamo avere l'arroganza di presumere, vivendo in un Occidente formatosi secondo i precetti della morale giudaico-cristiana, di essere immuni. Pur senza andare indietro fino ai tempi dell'inquisizione dobbiamo ammettere che tante superstizioni e credenze che non dovrebbero avere spazio in un contesto progredito come il nostro sono invece ancora presenti e spesso condizionano il comportamento delle persone. Ne abbiamo avuto prova in occasione della pandemia quando un certo numero (per fortuna piuttosto esiguo) di esponenti della Chiesa Cattolica hanno preso posizioni vicine ai movimenti no-vax dimostrando che, sebbene la maggior parte della comunità cristiana si sia allineata alle indicazioni del mondo scientifico, una certa componente da qualcuno definita conservatrice ma che io invece definirei oscurantista è ancora presente.   

Avviandomi alla conclusione, se da un lato è bene tener ben presente la distinzione tra fede e scienza basata sul fatto che si occupano di due mondi che non sono in contatto tra loro, il trascendente e l'immanente, non si dovrebbe tuttavia negare che vi sia, se non una continuità, sicuramente una contiguità che le rende interdipendenti nel senso che quando ci si occupa dell'una sarebbe bene non ignorare l'altra.

Ciò non vuol dire che non possano esistere uomini di scienza atei o che questi abbiano preclusa la possibilità di svolgere un buon lavoro nel loro campo purché abbiano la forza di ascoltare, pur non attribuendola a Dio, la voce della propria coscienza. In fondo quelli che sono i valori e i diritti fondamentali dell'individuo non sono riconducibili ai precetti di una singola religione ma sono universalmente riconosciuti anche se importanti dettagli sono controversi; Comandamenti presenti nella Bibbia come "non uccidere", "non rubare" o "non dire falsa testimonianza", tanto per fare qualche esempio, esprimono la condanna di comportamenti che vengono sanzionati da ogni legge umana a prescindere dal credo.
  

Voglio chiudere queste riflessioni con le parole di Indro Montanelli cui aggiungere un personale brevissimo commento: «Io ho sempre sentito la mancanza di fede, e la sento, come una profonda ingiustizia che toglie alla mia vita ogni senso. Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo da dove vengo, dove vado e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli. La mia è soltanto una dichiarazione di fallimento. Penso che la scienza possa darci solo la verità sulle innumerevoli realtà che ci circondano, ma mai la felicità. Quest’ultima è un dono che appartiene solo a pochi, a coloro che credono nell’esistenza di Dio»


Forse la fede, intesa come la percezione che vi è un trascendente in cui ritrovare le motivazioni di ciò che sentiamo essere giusto o sbagliato perché c'è un Creatore che le ha impresse nella creatura che Egli ha realizzato "a Sua Immagine", non è il dono riservato a pochi eletti, ma una conquista di coloro che hanno la forza e l'ardire di ammettere le proprie debolezze e limiti: il coraggio infatti non è una caratteristica dei superbi ma degli umili.

Commenti

Post popolari in questo blog

Vacanze sicure all'Hilbert Hotel - quattro passi nell'infinito con il profeta Isaia

Fisica e amore - l'equazione di Dirac

Una parola per due - il diverso vocabolario della matematica